Come si diventa amici?
No,davvero. E’ curioso, ma riesco a ricordarmi come ho conosciuto i miei “non-amici-né-conoscenti”, quelli che non so definire, quelli con cui mi piace stare ma che, per ora, non sono così essenziali per la mia vita, invece quando penso ai veri amici, nulla.
Vuoto totale. Mi sforzo di ricordare, ma è praticamente impossibile.
Non riesco a ritornare al giorno in cui ho conosciuto, incontrato per la prima volta quelle persone,anzi, magari ci riesco. Quello che non riesco proprio a fare è ricordare come siamo diventati amici. Qual è stato il momento in cui abbiamo iniziato a uscire, o a confidarci, a telefonarci a casa…a sentire il bisogno e la voglia di vederci e raccontarci le nostre vite.
E’ tanto assurdo quanto ridicolo: ci ricordiamo delle cose più svariate e meno importanti, ma non ci ricordiamo di quelle importanti sul serio, come quando siamo diventati amici di qualcuno.
Posso al massimo delineare la situazione in cui ci siamo conosciuti ed ipotizzare le modalità con cui ci siamo legati così profondamente, ma non posso esserne certa.
Del resto la memoria è un’infame.
Non capiremo mai come funziona. E’ al pari della bellezza, della giustizia: qualcosa di meraviglioso, che ci dà emozioni forti, ma che non esiste in sé, bensì esiste solo nelle cose in cui si esplica.
Cosa darei per poter ricordare tutto, con la stessa intensità del momento in cui l’ho vissuto.
Il primo amore, la gioia di stare insieme, i brividi dell’attesa, il suo odore, il contatto con le sue labbra, la sua voce, le sue espressioni tipiche. Eppure, per quanto mi sforzi, il tempo mi batte sempre; non so se curi tutte le ferite, ma di certo cancella tutto.
Al di là del primo amore, capita a volte, magari guardando delle foto, o una vecchia ripresa, di vedersi e di non riconoscersi, di vedersi bambini e dire tra sé “ma io ero così da piccolo?”, perché non abbiamo ricordi di quella fase.
I nostri genitori si ricordano di quella volta che noi… o di quando un bel giorno… e pensare che un’altra volta abbiamo fatto…
Ma per noi sono solo bei racconti, che parlano, in fondo,di sconosciuti.
Gli altri si ricordano di noi da piccoli, ma noi invece no; come dire che un pubblico si ricorda uno spettacolo, mentre gli attori che lo hanno inscenato no.
Ma in tutto ciò, si apre, invece, uno spiraglio.
Ho il ricordo di un giorno, del rinfresco del mio battesimo.
Non credo di esser stata condizionata dalle riprese che ho visto. Mi ricordo la sensazione dei rumori e delle voci ovattate, della stanza verdicchia, di cui vedevo solo il soffitto, sdraiata nella carrozzina. La sensazione di me che dormivo, mentre tutt’intorno si faceva festa.
Com’è possibile? Se fosse vero, sarebbe paradossale.
Mi ricorderei di qualcosa che è avvenuto prima che io fossi in grado di pensare, quando non riesco a ritornare con la mente a un fatto di pochi giorni fa, o di quando ero comunque un essere pensante, che utilizzava forme o di linguaggio o di pre-linguaggio.
La cosa peggiore della memoria è che, essendo fallimentare, insieme al tempo, ha il terribile potere di privarci delle nostre emozioni.
Quello che vivi un istante, potrai riviverlo, ma non è detto che riuscirai a conservarne il ricordo.
A cosa vale allora? Vivere bei momenti, sensazioni irripetibili, ineffabili, per mancanza di termini adeguati a descriverle… che svaniscono nel nulla.
Allora capisco Seneca, capisco il vivere intensamente il presente, il vivere oggi come se fosse il nostro ultimo giorno, capisco il carpe diem di Orazio, il “cogli l’attimo”.
Eppure non mi basta.
Non è sufficiente assaporare l’istante, se poi comunque finisce.
Non basta a nessuno di noi questo.
Noi vogliamo di più, vogliamo qualcosa che sia infinito. Una memoria a cui possiamo avere accesso continuamente, come un file di un computer.
Questo vogliamo.